Giallo, arancione, rosso. Da qualche giorno ci siamo ritrovati in un semaforo, qualcosa di esterno che decide secondo una logica che non conosciamo nello specifico, chi può passare, chi si può muovere, per quanto tempo e in quale direzione. Questo però è un semaforo in cui manca il verde, sembra che blocchi e limiti, che privilegi alcuni piuttosto che altri, senza mai lasciare davvero liberi. Da quando l’Italia è stata divisa in zone colorate che rappresentano il livello di pericolosità della condizione sanitaria, e quindi il livello di precauzioni che è necessario mettere in atto, siamo diventati un po’ come automobilisti fuori controllo in un ingorgo ad un incrocio: l’importante non è proseguire il nostro percorso in sicurezza nei tempi e nei modi adeguati, l’importante è primeggiare sugli altri, indagare in modo capzioso un eventuale malfunzionamento o inadeguatezza del semaforo che ha fermato noi e fatto passare altri, cercare l’escamotage per aggirare il sistema e avere un altro colore, anche se non veritiero.
Cerchiamo il verde ma sbagliamo strada, il verde, la libertà, non è accelerare all’incrocio anche se non è il nostro turno, pur di passare prima perché non riusciamo a stare fermi, provocando poi, inevitabilmente, fuori un ingorgo peggiore di prima e dentro una frustrazione maggiore.
Il verde, quello vero, lo dobbiamo aggiungere noi a questo semaforo, riconoscendo che la vera libertà è quella che ci permette di mettere al centro la tutela di una realtà umana, che anche quando da fuori non viene riconosciuta e protetta, continua ad esistere e ad essere il nostro “via libera”, per affrontare il traffico, le strade dissestate, gli automobilisti spericolati, i semafori non funzionanti, la segnaletica stradale sbiadita.