Quanti libri sono stati scritti e quante parole sono state dette contro la guerra? Quante analisi accurate ed approfondite sono state eseguite per sottolineare gli errori del passato? Quante pompose lezioni universitarie ed accorati interventi sono stati fatti, seguiti poi da scroscianti applausi, concordi tutti sul fatto che, “no, oggi siamo diversi, oggi agiremo in modo diverso rispetto ad allora”.
Ma i fatti del mondo sembrano sconfermare quanto appena detto ed i grandi ideali sembrano sciogliersi come neve al sole al cospetto dell’evidenza della guerra stessa. Ora si parla di guerra, di morti, di nemico e di armi nucleari con estrema leggerezza e quindi con estrema pericolosità.
Come è possibile che al giorno d’oggi non siamo ancora riusciti a superare questo scoglio nefasto che ci chiama alla decimazione, alla morte, alla sofferenza e, soprattutto, come è possibile che non ci accorgiamo che stiamo correndo a pié sospinto in questa direzione? Che forse, se ci guardiamo attorno, siamo già ora nella famigerata terza guerra mondiale? Lo si può vedere nei toni bellicisti, nell’indifferenza con cui si parla di bomba atomica o di vittoria, di bene o male, da un lato e dall’altro, mentre il sangue scorre, mentre si piange con i corpi dei propri cari tra le braccia.
Il nemico va eliminato. “Il nemico deve sparire così il mondo sarà migliore”. Questa è la logica folle del conflitto che coinvolge tutte le parti in gioco in un valzer di morte, che ad ogni passo in avanti del nemico, farà conseguire un’azione più forte degli alleati, e viceversa, fino alla distruzione di entrambi. Ma purtroppo il “nemico” parla di noi, poiché lentamente siamo diventati come il nemico che tanto odiamo, trascinati in questa valanga di violenza e devastazione o, peggio ancora, forse lo siamo sempre stati.
Perché è questo il punto cruciale: non possiamo spegnere il fuoco con il fuoco. Ed è per questo che inviare armi ci pone di fronte ad un paradosso: avremmo solo altre vittime, altra morte, altra devastazione e permetteremmo di trasformare l’aggredito in aggressore, per difenderlo. Il fuoco si spegne con l’acqua, essendo diversi, essendo altro dal “nemico”, altrimenti siamo già finiti, morti, non solo fisicamente, ma anche umanamente.
Fermiamoci e capiamo la strada che stiamo percorrendo.
La guerra non è un film o videogioco e se non ce ne stiamo accorgendo oggi ce ne accorgeremo presto.
Capire per superare gli ostacoli, comprendere per non giustificare ma per non far deflagrare ancora il conflitto, utilizzare le capacità affettive e l’intelletto umano non per la distruzione ma per salvare il salvabile e progredire. Non domani, oggi. Non è possibile credere che come Italia ed Europa non siamo riusciti a trovare un nostro modo di essere diversi, se non quello di aumentare il conflitto. Che non siamo riusciti a trovare una via diversa, identitaria ed umanitaria, che parlasse di quel sogno antico di una evoluzione del genere umano, un “uomo nuovo”. E da qui che dobbiamo partire. Non solo nelle situazioni grandi, ma anche nel piccolo dei nostri rapporti quotidiani, affettivi, lavorativi ed amicali. Quanto passerà prima che, come popolo Italiano, quando a breve mancheranno il cibo, acqua, luce e riscaldamenti, ci ritroveremo gli uni contro gli altri? Il nemico lontano verrà traslato nel nostro vicino e continueremo la guerra, ancora. Basta guardare ad un passato purtroppo vicinissimo. Proteggiamo, allora, chi amiamo da questa slavina di odio e di rabbia, ma soprattutto proteggiamo la nostra capacità di amare. Non possiamo tirarci fuori da quello che sta succedendo, sarebbe anacronistico e fuori dal tempo ma possiamo esserci in modo diverso, in modo nuovo.
Purtroppo la terza guerra mondiale è già iniziata e non si combatte solo in Ucraina, ma anche dentro di noi.
Fermiamoci ora.