Agitato, tranquillo, luminoso, scuro, chiassoso, timido… sempre in movimento, sempre uguale, mai uguale. Un giorno voluminoso, pieno, arrogante ed esibizionista, un altro turbato e impenetrabile, quasi scarno e meditabondo. Corazzato e poi accogliente, diffidente e poi appagato.
Lo vedo così lo sguardo di chi si siede lì, su quella sedia, per la prima, seconda, decima, centesima volta. Lo sguardo di chi ti studia e cerca di capire, di chi ha speranza, desiderio e paura di affidarsi, di chi deluso mille e mille volte non sa se tentare o rinunciare. Di chi pensa: “Forse ne hai visti tanti, forse ne hai sentite tante, ma mai come quello che ho dentro. Quello che ho dentro non lo capisco neanche io, difficile che possa comprenderlo tu, tu che non mi conosci, tu che non sai niente di me. Credi davvero di riuscire a sentire quello che sento io?”.
Lo immagino così il mare di fronte a William Turner in pieno periodo romantico, un mare come tanti si sono stagliati di fronte agli occhi degli esseri umani. Un’ossessione dicono, per William, soggetto di ¾ delle sue opere; un mare che muta con lui, che vede la guerra, le navi nemiche, le eruzioni dei vulcani, le ultime luci del tramonto, i bagliori degli incendi, le ore più cupe. Tenta di dipingerli tutti, in tutte le sfaccettature, con risultati eccellenti, impeccabili. A William però, tra i più grandi paesaggisti esistiti, le regole stanno strette, cerca la luce, cerca il movimento, cerca di più. Viaggia tantissimo, osserva mari e oceani, con cornici e atmosfere nuove. Sempre da spettatore, sempre a distanza. Sempre dalla riva.
Lo sentivo così il mio mondo affettivo, per la prima volta di fronte a qualcuno che mi ha visto con occhi nuovi, con occhi diversi. Bastarono uno scambio di opinioni, due battute, per farmi sentire che forse, nella me che avevo portato avanti fino a quel momento, c’era di più. Avevo appena scelto di fare quel lavoro, di essere d’aiuto, di provare a comprendere ma per un attimo, per un solo attim0, ebbi chiaro che la prima a non essermi mai vista e compresa realmente ero io.
William cercava di comprendere, mostrare e interpretare il mare dalla riva. Tentava di sentire lo sferzare del vento, la potenza delle onde e la deflagrazione dei tuoni a distanza. Cercava di comprendere il turbamento del mare senza “essere” il mare. A quel punto ebbe un’intuizione, di quelle che si hanno solo nel momento in cui quel desiderio di ritrovare la profondità di quell’acqua è più forte di qualsiasi spiegazione logica e razionale: si fa legare ad un albero maestro in piena tempesta per vivere in prima persona il turbamento e la calma, il vento e le onde sulla pelle. Una volta tornato sulla terraferma i suoi quadri non saranno più gli stessi. Meno nitidi, manierati, precisi, più potenti, intensi, espressivi… veri, perché affettivi. Quasi impressionisti.
Come William, cercavo di comprendere il mare altrui senza aver visto, compreso e ritrovato il mio mare, il mio mare inconscio. Ero sempre entrata in rapporto con gli altri credendo di immergermi in quelle acque che chiamano al rapporto interumano senza ritrovare prima le mie capacità di farlo. Non potevo vedere cosa ci fosse sotto il pelo dell’acqua, perché non possedevo le giuste lenti per comprendere i disegni dei fondali.
Come coloro che desideravo aiutare, anche io avevo vissuto delusioni, difficoltà, avevo incontrato rapporti validi che mi avevano soddisfatta e rapporti meno validi che credevo mi avessero bloccata e svuotata. Anche io avevo creduto che in quei momenti di passaggio alcune parti di me fossero svanite per sempre, non riuscendo più a riconoscerle in me. Come loro, conoscevo benissimo le mie parti impaurite, non valide, spigolose, non ricordando più di possederne altre ben più valide. In quel fondale, in cui vedevo solo ombre mostruose, c’erano in realtà correnti calde, affetti, presenza, possibilità di essere soddisfatti nei desideri.
Come William, ho scelto di farmi guidare da quell’essere umano che il mare lo conosceva bene, di farmi legare all’albero maestro ed entrare nella tempesta, sfidando le onde, il vento i tuoni. Mai avrei immaginato che invece di ritrovarmi legata, mi sarei sentita libera, in grado di volare e nuotare, per la prima volta, in un rapporto senza corazze.
Lo vedo così lo sguardo di chi si siede lì, su quella sedia, per la prima, seconda, decima, centesima volta. Lo sguardo di chi ti studia e cerca di capire, di chi ha speranza, desiderio e paura di affidarsi, di chi deluso mille e mille volte non sa se tentare o rinunciare. Io quello sguardo lo vedo nella sua possibilità di essere libero di volare e di nuotare in un rapporto senza corazze, perché come loro ho provato cosa significa sperare con tutta me stessa che qualcuno risponda. E quando in quello sguardo leggo: “Credi davvero di riuscire a sentire quello che sento io?”, dentro di me rispondo: “Sì, credo di sì… e molto molto di più”.
Dott.ssa Raffaella Mastracchio