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“Il simbolo della Mela Reintegrata rappresenta la ricomposizione degli elementi opposti: natura e artificio. La mela significa natura; il morso della mela significa artificio, così come lo vediamo utilizzato in un marchio di computer mondialmente diffuso posto ad emblema della tecnologia che sostituisce integralmente la natura. Con la Mela Reintegrata l’artificio assume il compito di ricucire la parte asportata dal morso e ricongiungere l’umanità alla natura, anziché continuare ad allontanarla da essa.”

(Michelangelo Pistoletto)

La riflessione di Pistoletto, autore della scultura posizionata vicino alla stazione di Milano,  è nodale nell’epoca di internet, nell’epoca dello smartphone, dei social e dei selfie, delle challenge e dei contenuti virali, delle bad news e delle fake news, in un’epoca dove appunto “l’artificio” sembra alterare i rapporti umani e sembra essere l’unico modo per poter esistere in questo mondo d’oggi. In fondo la mela della Apple, quella con il morso, rimanda a una mancanza, ad un’incompletezza rispetto alla sua condizione naturale, che è sopperita dalle potenzialità della tecnologia. Eppure Pistoletto vede la possibilità di poter reintegrare quel “che” che manca da quella mela, ma a cosa ci stiamo riferendo?

Parlando di essere umano la psicologia potrebbe aiutarci a comprendere quel “che” che manca  e darci un punto di vista profondo rispetto ad internet ed alla tecnologia. Questo nel momento in cui  anch’essa, la psicologia non ceda ad una visione dell’uomo che parta dall’incompletezza, e molto spesso è così.

Sovente anche la psicologia vede un uomo monco, cavo, come la forma del morso sulla mela, e inevitabilmente vedrà anche sé stessa come incompleta in una costante ricerca “artificiosa” che costringe la disciplina a doversi reinventare. Una psicologia che parla di un uomo limitato e circoscritto alla sua condizione fisiologica o cognitiva, un uomo come solo corpo o  un uomo come mente, che necessita quindi esclusivamente di una terapia “ortopedica” che faccia adattare o che contenga il problema. Ma se la cura dell’essere umano è il contenimento  e l’adattamento, come si porrà oggi la psicologia nei confronti di internet e della tecnologia? Esattamente nello stesso modo: contenendo ed adattando. Infatti è possibile vedere due approcci apparentemente diversi. Da una parte abbiamo una psicologia che demonizza internet e lo vede come causa principale del malessere moderno, che isola, che alimenta la perversione dell’essere umano e che quindi va eradicata; c’è poi la parte che lo divinizza, la parte della psicologia che si deforma in virtù  della tecnologia. E così iniziano a moltiplicarsi le terapie online, le consulenze tramite chat per arrivare a sedute di supporto tramite videogioco. Sia nel caso della demonizzazione che della divinizzazione è possibile rilevare un gretto appiattimento della visione psicologica, che  da un lato anacronisticamente sembra non comprendere lo Zeitgest del nostro tempo allontanandosi sempre di più  dalla vita delle persone, dall’altro sembra doversi “imbellettare” con la moda hitech  per poter continuare ad essere in qualche modo attrattiva.

Ma se la psicologia è “cava” come può dare un punto di vista che non sia dicotomico sulla tecnologia o internet? Sarà allora impossibile trovare quel pezzo mancante e saremo costretti a un completamento “artificioso” di quella mela e di noi stessi.

Anche Platone nel Protagora vedeva un essere umano monco rispetto agli animali: loro avevano gli artigli, le corazze,  le ali, l’uomo era nudo. La dimenticanza di Epimeteo aveva causato un vuoto di “qualità” nell’essere umano. Prometeo allora decise di rubare il fuoco e la tecnica per donarla agli uomini, esponendosi alla terribile punizione di Zeus. L’uomo ora aveva la tecnica, e poteva affinare la sua tecnologia per crearsi i suoi artigli, le sue ali, etc. Anche nel mito sembra che la tecnologia debba sopperire a una mancanza dell’uomo, indifeso, inerme rispetto alla natura aggressiva circostante. Eppure quegli artigli e corazze, che di certo ci avrebbero permesso di difenderci dalle fiere, non ci avrebbero permesso di sviluppare la nostra epidermide, la nostra pelle, con la quale conosciamo il mondo quando ancora non siamo propriamente vivi, ma vitali: cioè quando siamo feti. Durante la seconda settimana di concepimento, all’interno della blastocisti si creano due cavità, il sacco vitellino e la cavità amniotica, separate da un duplice strato di cellule chiamato disco embrionale. Questo disco è formato da tre parti fondamentali: Endoderma, Mesoderma ed Ectoderma. Da quest’ultima sezione del disco verranno a formarsi specificatamente la pelle e il sistema nervoso centrale. Una connessione intima fra pelle e cervello, che non si esaurirà solo in quel particolare momento. Infatti il feto a contatto con il liquido amniotico nell’utero sperimenta il contatto con un liquido organico, umano, di cui percepisce la calma, il calore, la costanza, le qualità di un rapporto che gli faranno strutturare la matrice dell’inconscio. Un inconscio che Massimo Fagioli chiamerà “mare calmo”, non difeso, non coartato, volto invece al rapporto creativo fra esseri umani. Lo psichiatra infatti, a differenza di molti pensatori della psiche, vede un essere  umano che nasce non solo “competente”, come molti neuroscienziati propongono oggi, ma “sano”, completo affettivamente, pienamente in grado di rapportarsi con le figure di accudimento e crescere. Un essere umano nato radicalmente diverso dal concepimento platonico.

L’uomo è provvisto quindi di una realtà inconscia che oltre ad essere un processo e quindi un modo di funzionare della mente, dà vita ad un mondo dei rapporti pregnanti dell’essere umano, un mondo affettivo che emergerà anche quando non si è propriamente coscienti, ad esempio nei sogni. Certo, non è una realtà organica concreta: l’inconscio non è materiale, il mondo affettivo non ha un sede vera e propria, ma esiste! Sovente allora è facile “dimenticarsi” della sua esistenza. In realtà non si dovrebbe parlare né di dimenticanza né di rimozione, ma di una pulsione che annulla le realtà profonde dell’essere umano, appunto la pulsione di annullamento, che rende morto ciò che invece era vivo. Una pulsione rivolta alle possibilità creative profonde immateriali dell’essere umano che solo allora diverrà monco, incompleto. Allora avrà bisogno esclusivamente della tecnica e del fuoco prometeico per poter contenere la propria impotenza e farla diventare onnipotenza.

Diverranno a questo punto comprensibili  le nuove filosofie largamente osannate del Transumanesimo, cioè quella concettualizzazione che vuole fondere l’umano con la tecnologia per poterlo migliorare. L’uomo cavo, vuoto, senza inconscio, che si trasforma nell’uomo cavo, “elettrico”, proprio in mancanza di quella parte non materiale che lo fa sentire incompleto, bisognoso di una miglioria “tecnica” per poter crescere e per vivere.

I rigurgiti del transumanesimo investono, cavalcando la pulsione di annullamento, anche la psicologia, che non parla più di psiche ma solo di mente, che non parla più di affetti ma solo di emozioni, che non parla più di inconscio, ma solo di coscienza. Inevitabile allora uno scollamento dei professionisti della psiche costretti o alla proscrizione di mezzi come internet, o al cedere passivi alla deformazione che esso ci propone. Internet  e la tecnologia, al contrario, potrebbero essere dei mezzi che parlano del nostro inconscio invece di sostituirlo, mezzi per poterlo vedere con altre lenti. Quanto i siti che frequentiamo, le app che utilizziamo, le notizie che cerchiamo, i telefilm che guardiamo, le modifiche somatiche che fantastichiamo, parlano di noi, del nostro universo conscio ma ancora di più del nostro mondo affettivo? Vedere l’inconscio significa dar senso alla tecnologia ed utilizzarla come specchio nel quale vedere riflesso un volto umano: il rapporto con noi, con gli altri, con il mondo, i nostri desideri e anche tutto ciò che si oppone a questi, le parti scisse e regredite di noi. Certo, vedere i lati “oscuri” di noi ci pone di fronte a una grande paura e spesso allora rimuoviamo, o meglio cancelliamo quelle realtà, come avviene spesso con le cronologie dei siti o delle app più scomode, e facciamo lo stesso con il nostro mondo affettivo, perché infondo siamo convinti che contenga solo questo: perversione. Eppure, se non prendiamo il contenimento e l’adattamento come bussola per vivere l’esistenza e per una cura, e invece prendiamo ciò che l’essere umano è chiamato a fare di norma nella vita cioè crescere e trasformarsi, forse quelle parti oscure potrebbero nascondere un desiderio che riteniamo purtroppo impossibile realizzare, un desiderio di rapporto umano che se visto e riconosciuto può essere soddisfatto, trasformando anche quelle parti in un nuovo.

Sarà inevitabile confrontarsi con quelle parti “negative”, poiché solo vedendole potranno essere rifiutate in virtù di qualcosa di diverso. In caso contrario, orbi del mondo affettivo, vedremo esclusivamente delle proiezioni sulla tecnologia, frutto di quel mondo affettivo negato, che avranno valenza dicotomica. E si ritorna alle posizioni sopraccitate che spesso la psicologia prende rispetto alla tecnologia. Nello specchio vedremo un demone, che ritrae le nostre parti indifferenti, le nostre pericolose parti non umane volte al controllo e all’appiattimento della coscienza; oppure vedremo l’angelo, una tecnologia che dona super poteri divini, onnipotenti, disumani, nuove possibilità che tuttavia essendo frutto della negazione dell’inconscio porteranno a una deformazione dell’umano (e della psicologia). In entrambe le posizioni verrà agita la pulsione di annullamento verso le realtà inconsce dell’essere umano, rendendolo solo corpo, un corpo peraltro morto, non abitato da una realtà immateriale: un “cadavere”, riprendendo la definizione di corpo di Omero. Meglio morti che intravedere la possibilità di cambiare. Caso strano a livello epistemologico, lo stesso Massimo Fagioli, poiché parlava del mondo affettivo, di incoscio, è stato vittima della sua stessa scoperta, cioè la pulsione di annullamento, da parte del’accademia e dell’intellighenzia, cancellato come quei siti scomodi dalla cronologia del nostro browser, a mio avviso per la paura di doversi trasformare. L’epistemologo Thoms Khun nel descrivere le “fasi della scienza” ha parlato di questo rigetto per le novità in riferimento a paradigmi che non volevano cambiare, nonostante fossero diventati anacronistici o quantomeno non più rispondenti alle esigenze che il tempo proponeva loro. Forse oggi i tempi sono maturi affinché un cambio copernicano sia possibile, affinchè quindi la psicologia torni a parlare di inconscio, ma in modo diverso, come mondo affettivo.

In questo modo quella mela monca rappresentata da Pistoletto non avrà bisogno di suture per essere completa. Quella parte mancante, nel caso in cui non sia fatta sparire noi, potrebbe essere semplicemente immateriale. Perché l’unità “naturale”, la completezza, è data sì da una parte concreta, fisiologica, ma altresì da una parte immateriale, che riconosciuta ha il potere di far tornare l’essere umano a far quello che è chiamato a fare dalla vita: crescere.

Giorgio Tullio De Negri

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