Come un fulmine a ciel sereno o meglio come una doccia gelata, è stata recentemente pubblicata l’analisi dell’osservatorio Talent Venture sui dati forniti da Almalaurea riguardo le stime occupazionali dei vari corsi di laurea: per quanto riguarda la facoltà di Psicologia, la situazione sembra essere davvero critica. I parametri con cui sono stati analizzati i CdL sono stati tre:
1) Tasso di “Inadeguatezza Professionale” del corso di laurea percepita dai laureati per i diversi gruppi di laurea.
2) Tasso di “Inutilità” del titolo di laurea percepita dai laureati per i diversi gruppi di laurea.
3) Tasso di Occupazione e Scelta del corso di laurea in base alle opportunità occupazionali.
Per i laureati in Psicologia il tasso di occupazione è decisamente contenuto (45%) e quasi quattro laureati su dieci (38%) ritengono che, per lo svolgimento dell’attività lavorativa per la quale sono attualmente impiegati, non serva il titolo universitario. Gli stipendi netti medi ad un anno dalla laurea, sono di € 680.
Quindi più del 60% degli studenti di psicologia percepisce come “inadeguato” il percorso di laureaproponendo una delusione rispetto agli strumenti che le facoltà italiane forniscono.
Non sembra esserci lavoro, ma ancor di più sembra non esserci un “know how”, una prassi che venga insegnata nei diversi atenei italiani per formare nuovi psicologi professionisti. Da un punto di vista teorico le università forniscono un carnet di storia della psicologia e delle sue varie declinazioni: dallo sviluppo alla psicodiagnostica, dalla dinamica alla psicometria, ma sono molto carenti dal punto di vista pratico e rischiano di formare neolaureati con una preparazione estremamente frammentata, astratta e a volte confusa, che elude la messa a fuoco sul paziente e sulle sue reali problematiche e allontana dalla costruzione di una prassi di lavoro aderente alla realtà clinica. Un medico per svolgere la sua professione necessita di un grande ammontare di ore di pratica e di affiancamento, per capire come si lavora. Lo psicologo sembra di no. È vero, ci sono i tirocini (che alle volte diventano purtroppo anche il famigerato “fare le fotocopie” o “portare i caffè”) ma spesso sono poco professionalizzanti e non riescono a supplire alla mancanza di attività pratiche durante il percorso universitario, necessarie per proporre una prassi di lavoro al futuro laureato, che dopo anni di sforzi, sacrifici, corsi triennali e specialistici, esami curriculari ed esami di abilitazione, si ritrova con un pugno di mosche in mano.
Dopo tutto questo il desiderio di lavorare come psicologo non si è ancora potuto trasformare in realtà, con la prospettiva di guadagnare nel primo anno poco più di 600 euro mensili, nel migliore dei casi, e facendo qualcosa che peraltro è poco attinente rispetto a quello per cui si è studiato. Un drammatico destino per chi ha scelto la strada dei rapporti umani, la strada che doveva permettere di trovare un senso diverso dietro all’apparenza, la via della comprensione di ciò che c’è ma non si vede. Inutile prendersela con le alte sfere, troppo impegnate a combattere nemici immaginari, a cui spesso i neolaureati si affiancano nella speranza di trovare un capro espiatorio per la condizione di impossibilità. Ma fin quando combatteremo contro gli altri invece di aprire gli occhi e guardare la realtà, ci avviteremo sempre di più in questa triste condizione. In tutto questo rischiamo di perdere, peraltro, un particolare di non poco conto: l’esigenza e la richiesta di psicologi professionisti è presente nella società, nelle famiglie, nelle scuole, nelle aziende ed esige una risposta valida. Basta guardarci intorno per vedere la perdita di significato verso cui la nostra società corre in gran fretta e capire quanto i professionisti della psiche e “dell’animo umano”, siano di fondamentale importanza. In un momento storico dove il confronto con la diversità spesso evolve in razzismo, dove il rapporto attraverso la tecnologia diventa l’unico modo per avere contatti con altre persone, dove l’emergenza e la presenza di psicopatologie sembra essere in costante aumento, il rapporto con psicologi validi, potrebbe fare la differenza.
È qui però la grave carenza. Per realizzare il desiderio di lavorare come psicologo è importante costruire, oltre ad un sapere teorico, anche un fare che integrati porteranno a qualcosa di diverso: “essere psicologo”.
Come nella caverna di Platone, si apre davanti a noi psicologi o futuri psicologi un bivio perturbante: rimanere al caldo del fioco fuocherello davanti al quale siamo accucciati e distratti dalle ombre che ci passano davanti, oppure mettersi in gioco ed affrontare la luce per nascere, per “essere” e realizzare la nostra identità professionale. Decidere di rimanere imprigionati da una realtà che ci viene raccontata da altri e a cui dobbiamo acconsentire, perché in fondo abbiamo perso il desiderio di realizzare una valida professione, oppure lottare per renderla possibile trovando una via diversa: la via della formazione, della crescita personale, dell’impegno per realizzare il desiderio di sapere, di fare e di essere psicologi.
A noi la scelta.
SE IL 55% DEI LAUREATI IN PSICOLOGIA È DISOCCUPATO NON VUOL DIRE CHE LAVORARE COME PSICOLOGO È IMPOSSIBILE.